Venerdì, 19 Aprile 2024 13:12

Listening (with feeling) : “Skeleton Tree” di Nick Cave

Pubblicato in News

Ultima creatura dell’artista poliedrico imprescindibile dalla sua storia degli ultimi anni, certo, com’è stato scritto da più critici negli ultimi giorni, ma di certo per quanto l’avvenimento arrechi un dolore inaccettabile non si può addurre a questo dolore la funzione di unica fonte di ispirazione di uno degli artisti più prolifici degli ultimi decenni, rischiando successivamente di gappare nel sensazionalismo e il sentimentalismo spicciolo che spesso accompagna la storia della musica. Ci apprestiamo all’ascolto e al live-writing come in genere facciamo con sempre grande rispetto defilandoci da chi come il saputello della classe sempre col ditino alzato, ha sempre la risposta pronta facendo vibrare quel dito (certamente intenditore delle più variegate sonorità) eretto davanti al muso del candido e smaliziato ascoltatore che poverino vede la musica per quello che effettivamente è : cibo per l’anima, quando non intrattenimento o vera testimonianza dell’arte in una delle sue sfaccettature, come bastone alla vita e come filtro per vedere e vivere, e non come purtroppo troppo spesso oggi succede, una gara al primo che ascolta o al primo che adula o grida al “Capolavoro” per quanto concerne una nuova uscita. Prima di cominciare lo snocciolamento del disco volevo anticipare (sempre col dovuto rispetto) che non mi sembra si tratti del caso del capolavoro nonostante alcune tracce siano emotivamente struggenti e riescano (dove spesso solo lui riesce) a muovere valanghe di feelings come anticipato dal titolo della mia come di consueto non-recensione. “Jesus Alone” apre il disco facendoci già capire quale sarà il carattere: un corteo di suoni oscuri che avanzano in acuti lontani e sfumati con percussioni che di tanto in tanto intermezzano con piani il parlato/cantato di Cave . “With my voice i’m calling you” e il testo completa l’abito scuro della prima traccia con “Lambs burst from the wombs of their mothers” che ricordano in una volta con i fiori che sgorgano dalla terra, la primavera e la rinascita a nuova vita. Rassegnazioni e sensazioni quasi r n’b in “Rings of Saturn” Incedere di suoni delicati in particolare gospel come in questa traccia, costellano quasi tutta l’opera. Ci sono in tutti gli ascolti dei ascoltatori incalliti, delle tracce per le quali abbiamo fin dal principio un imprinting particolare che le fa diventare al solo primo ascolto le nostre predilette. Il disco prende una svolta più profonda emotivamente parlando a partire da “I need you” da cui traspare anche dal cantato una particolare sofferenza umana dal cuore dell’artista, che è anche la più lunga seguita subito da “Jesus Alone”. Anche se la più commovente e struggente dell’intero disco al contatto vivido delle miei emozioni più vive è “Distant Sky” un lento incedere di qualcosa di candido ritualizzato dalle percussioni cadenzate e il cantato quasi ritualistico e i vocal che la rendono di una sofferenza rassegnata che anticipa la fine del disco e le atmosfere che lo hanno animato, tanto che l’ultima traccia “skeleton tree” che dà nome all’album, sembra un accommiatarsi alla fine della funzione quando tutto il dolore dovrebbe essere spazzato via dal rinnovarsi della vita, reso dai piani leggeri e i suoni ariosi e aperti come anelanti al cielo, che sanno di abbracci e sorrisi contornati da un lieve indaco chiaro e luminoso.

Archivio Giornale

Seguici su Facebook