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Turchia: la svolta autoritaria di Erdogan

Pubblicato in Politica

Nel giorno della Santa Pasqua la Turchia ha posto una dura ipoteca sul proprio futuro. Il Referendum Costituzionale ha visto la vittoria del Sì col 51,3% delle preferenze distaccando di pochissimo il No al 48,7% in un clima intimidatorio fatto di minacce, censure e arresti. Benché sul filo del rasoio la vittoria referendaria consegna poteri assoluti al Presidente Erdogan, conducendo la Turchia ad una svolta autoritaria, ma ci presenta al tempo stesso la foto di Paese spaccato a metà, attraversato da conflitti interni, minacciato dal terrorismo e con una guerra che incombe ai confini. La Turchia è un Paese molto eterogeneo dal punto di vista religioso e culturale ed è caratterizzata da forti divisioni etniche; basti pensare al genocidio degli Armeni e alla persecuzione dei Curdi. Il referendum ha amplificato questa polarizzazione: da un lato il Sì sostenuto dai conservatori dell'AKP e dai nazionalisti del MHP ha trovato consensi nelle periferie e nelle comunità rurali del centro del Paese; dall'altro il No sostenuto dai repubblicani del CHP e dal partito filo-curdo HDP è stato votato maggiormente nelle grandi città, nelle regioni costiere e nell'est del Paese a maggioranza curda. Determinante è stato il voto dei turchi all'estero. Con la vittoria del Sì e l'introduzione della nuova costituzione la Turchia passa da repubblica parlamentare a presidenziale. Il Capo dello Stato avrà poteri illimitati: con l'eliminazione del Presidente del Consiglio, il demansionamento del Parlamento, l'attribuzione dei poteri militari e la facoltà di scegliere le più alte cariche di Stato e Magistratura Erdogan potrà assumere i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario dando vita ad un'autocrazia mediorientale. Una situazione ampiamente denunciata dalle opposizioni secondo le quali sarebbero 2,5 milioni i voti non validi che avrebbero inquinato il referendum determinando la vittoria del Sì. Erdogan non è mai stato un estimatore della democrazia. Vicino ad alcune frange dell'estremismo islamico come i Fratelli Musulmani e Hamas, sostenitore dei ribelli siriani, sin dall'inizio della sua presidenza ha cominciato a perseguitare i curdi accusandoli di minacciare l'unità nazionale nonostante il loro impegno nel combattere l'ISIS. Un'ondata di repressione senza precedenti si è riversata su di loro: intere città rase al suolo, persecuzioni, violenze, uccisioni e migliaia di arresti è il prezzo che il Popolo Curdo sta pagando; mentre i leader curdi Selahattin Demirta? e Abdullah Öcalan sono attualmente in carcere. La repressione in Turchia è all'ordine del giorno. Dal tentativo di golpe fallito nel luglio 2016 sono state chiuse e requisite televisioni, radio e giornali; 150 giornalisti sono stati arrestati e tra questi c'è l'italiano Gabriele del Grande. La libertà di stampa è sempre più un miraggio e con essa muore la libertà d'opinione: il licenziamento di 100 mila dipendenti pubblici, l'arresto dei docenti universitari, l'incarcerazione degli oppositori politici, le censure su intellettuali e scrittori tra cui il Premio Nobel per la Letteratura Orhan Pamuk sono la dimostrazione che la Turchia è diventata un regime. Non c'è da meravigliarsi se Erdogan ha annunciato che la sua prossima mossa sarà la reintroduzione della pena di morte. Non è un caso che la Commissione di Venezia, organo del diritto internazionale volto a consentire la promozione dei diritti umani, abbia bocciato i piani di Erdogan. Anche secondo l'OCSE il referendum non ha rispettato gli standard internazionali richiesti ai fini di una votazione regolare e corretta. In altre circostanze ci sarebbero state condanne e sanzioni da parte della Comunità Internazionale ma così non è stato per tutta una serie di interessi trasversali. Erdogan ha il sostegno di banche e multinazionali che in Turchia fanno affari d'oro: metà del commercio estero è con l'Europa dalla quale proviene il 70% dei capitali. La Turchia fa inoltre parte della NATO, una condizione che permette ad Erdogan di fare ciò che vuole impunemente. Infine, in base all'accordo sui migranti, riceve 6 miliardi di euro dall'UE perché tenga sotto controllo i flussi migratori provenienti dalla Siria. L'Europa nel frattempo si è spaccata sull'entrata della Turchia nell'UE. Austria e Paesi Bassi chiedono la fine delle trattative; Germania e Francia sono più caute a causa degli interessi economici che le legano all'area medioorientale mentre per il Presidente della Commissione Europea Jean- Claude Juncker la Turchia resta un partner imprescindibile di UE e NATO. Non si sono fatte attendere le reazioni positive degli USA con Trump che si è congratulato con Erdogan per il sostegno militare in Siria volto al rovesciamento del regime di Assad. Più pacata la reazione della Russia che ha invitato al rispetto dell'esito referendario e ad un maggiore impegno militare per combattere i terroristi dell'ISIS. Erdogan può dunque incoronarsi nuovo "sultano" dell'Impero Ottomano.