Giovedì, 18 Aprile 2024 05:15

Lo strapotere monetario americano e la perdita di sovranità valutaria nazionale: la critica degli economisti

Pubblicato in Economia

Gli accordi di Bretton Woods stipulati nel luglio del 1944 in un albergo dell’Hampshire segnano l’inizio di una nuova era postbellica caratterizzata da scenari economici e finanziari estremamente asfittici ed umilianti per i paesi sconfitti nel secondo conflitto mondiale e per il Giappone. La logica dei finanziamenti americani volti alla ricostruzione dei paesi “liberati” ha difatti seguito ambigue procedure egemoniche che hanno imposto al mondo intero la centralità assoluta degli interessi americani a scapito dell’economia degli altri paesi. Gli accordi di Bretton Woods imponevano alla comunità internazionale il ruolo indiscusso di riserva monetaria mondiale del dollaro americano, al quale veniva peraltro conferita l’esclusiva in ordine alla convertibilità aurea e all’utilizzo negli scambi internazionali. A Bretton Woods vennero dunque disegnate le linee guida di un regime di cambi fissi che vincolavano i paesi europei ed il Giappone ad accettare la sottostima e la svalutazione permanente delle proprie monete a favore del dollaro, rispetto al quale esse subivano un deprezzamento in proporzione fissa. Senza entrare nel merito di simili strategie che, impoverendo il valore delle divise nazionali, hanno leso, sottomesso e condizionato la crescita di gran parte dei paesi europei e del Giappone, nonostante gli apparenti vantaggi derivanti dalle svalutazioni monetarie, si possono citare le posizioni di insigni economisti mondiali che, dal 1950 ai giorni nostri segnalano insidie e pericoli dei regimi a cambi fissi, come quelli stabiliti a Bretton Woods. Il primo economista ad indicare il nocumento di un tale strumento monetario fu Graham, seguito a ruota da Milton Friedman. I due esperti di economia sostenevano, difatti, la capacità ottimale di un sistema economico basato sui cambi flessibili di fronteggiare con successo e reagire positivamente agli shock economici esterni, scongiurando il pericolo che essi si riflettano sui prezzi interni generando inflazione potenziale. I suddetti economisti segnalarono che un sistema economico internazionale a cambi fissi si configurava come un irrigidimento che, al solo scopo di preservare la stabilità valutaria scaricava sui prezzi interni i contraccolpi delle fluttuazioni economiche esterne inducendo salassi e sacrifici. D’altronde la valuta, non poteva non obbedire alle leggi di mercato, essendo sottesa, alla stegua di un bene qualunque, ad una domanda ed un’offerta che ne determinavano le fisiologiche fluttuazioni di prezzo, ovvero del cambio. Dunque, ostinarsi a sostenere il cambio fisso, così come impose l’America al mondo intero si rivelò ben presto una pratica destabilizzante incline alla proliferazione di contraddizioni e conflitti insanabili. Si tratta di profondi dualismi che gli economisti Mundell e Fleming chiamarono “trilemma”, ossia un contrasto patologico fra cambi fissi, sovranità monetaria e mobilità di capitali che ha definitivamente compromesso la prospettiva di reale integrazione fra i mercati. Anche se un sistema di tassi di cambio flessibili dovesse richiedere la supervisione di un’autorità di controllo esterna come suggerisce l’economista Meade, una politica di tassi di cambio fluttuanti consentirebbe comunque di poter agire virtuosamente sugli squilibri della bilancia di ciascun paese correggendoli opportunamente in tempi ragionevoli. Dello stesso avviso è stato anche l’economista Johnson che sottolineava ripetutamente l’assoluta indipendenza della politica economica e monetaria degli USA contrapposte a quelle degli altri paesi, vincolate e subordinate in larga misura agli interessi americani ed ai rigidi parametri del sistema a cambi fissi predetto.

E0 utile, a questo punto approfondire una Tassonomia dei regimi di cambio.

Dagli anni Cinquanta ad oggi la classificazione dei regimi di cambio operata dal FMI si è molto complicata. “Figlio degli accordi di Bretton Woods”, il FMI appare come un organismo sfuggente, unitamente alla Banca Mondiale. Le suddette istituzioni predisposte da “Bretton Woods” avevano come obiettivo principale quello di programmare con criteri sui generis le operazioni di investimento, le attività di finanziamento di progetti produttivi nei diversi paesi e la funzione di eliminare gli eventuali squilibri economici e finanziari fra le bilance commerciali delle diverse nazioni tramite strumenti valutari compensativi creati dal nulla chiamati “Diritti Speciali di Prelievo”. Inizialmente esisteva solo una differenziazione fra tassi di cambio fissi e tassi flessibili. In seguito, le classificazioni fra le diverse tipologie di regimi si sono complicate e si rivelano ad oggi, insufficienti ed insoddisfacenti. Le tipologie di base sono essenzialmente due. La “parità ad ancora nominale” e la “parità a banda oscillante”. Nel primo caso il valore della valuta viene tenuto ancorato, per sicurezza, al ben preciso valore di una divisa; nel secondo caso detto valore viene tenuto legato a parametri inseriti in un range di oscillazione ben definito, suscettivo di moderata variabilità nel tempo. Negli anni Novanta le suddette parità sono state legate più elasticamente ad un paniere di valute ben definito e le fluttuazioni ammissibili sono state ulteriormente estese, sfociando addirittura in “fluttuazioni a caduta libera”. Questa contrapposizione fra regime ad ancoraggio nominale (detto “pegged”) e regime a fluttuazioni ha istituzionalizzato un sistema definito “bipolare” che, nel tempo si è arricchito di ulteriori classificazioni e suddivisioni interne. Dette distinzioni sono caratterizzate, comunque, da impegni che le singole autorità monetarie nazionali hanno dovuto prendere sulla parola, definibili “de iure”. In ogni caso, il suddetto sistema bipolare non è privo di sfiducia e perplessità varie definite “fear”. Dunque ha senso parlare di fear for floating (timore per le fluttuazioni) e fear for pegging (timore per la fissità dei cambi ancorati a determinati parametri), ovvero la paura di solennizzare impegni troppo vincolanti per sostenere la parità.  Nel 1971 gli USA maturarono talmente tanti debiti, contratti per il finanziamento oneroso della guerra in Vietnam che il presidente Nixon dovette sospendere definitivamente la convertibilità aurea del dollaro. Difatti, i creditori degli USA ed i paesi che sfruttavano la predetta svalutazione voluta da Bretton Woods per aumentare le esportazioni verso l’America e incassare moneta statunitense, corsero a convertire dollari in oro, mettendo a rischio le riserve auree americane. Con l’abbandono di Bretton Woods vengono ufficializzati i regimi a tassi di cambio flessibili che promossero la liberizzazione del mercato valutario. A fronte di questa libertà monetaria sorgevano però alcune importanti perplessità in ordine alla valuta che i consumatori avrebbero dovuto detenere e tesoreggiare, visto e considerato che non vi era più sicurezza circa il valore delle monete, oramai in balia dell’incertezza. Dunque ha senso parlare, a tal proposito, di perdita del marchio di fabbrica delle valute stesse, ovvero smarrimento della loro affidabilità e redditività. Le singole nazioni offerenti moneta sono, dunque, riconducibili ad imprese produttrici di valore, quello della propria valuta, impegnate in un mercato di concorrenza perfetta coincidente con quello della libera circolazione valutaria in ambito di cambi flessibili. Questa teoria promossa dall’economista Klein negli anni Settanta, stabilisce che il valore di ciascuna moneta è esattamente pari a quello della sua reputazione. Vale, a tal proposito, la legge di Gresham secondo la quale la moneta buona scaccia sempre quella cattiva. Ciascuno Stato dovrà immettere una quantità di moneta proporzionale alle aspettative degli agenti economici ed inversamente proporzionale alle variazioni (varianza statistica) dell’inflazione. Secondo Klein, nella determinazione della esatta quantità di moneta da immettere in circolazione occorre inevitabilmente prendere in considerazione i costi dell’informazione e quelli della fiducia che diminuiscono man mano all’incremento della sua diffusione (economie di scala). Il ruolo dello Stato e lo spessore della sua presenza nelle decisioni inerenti la moneta incide non poco sulla concretizzazione del  libero mercato valutario.. Secondo gli economisti Mundell e Fleming l’unico modo di ovviare ai succitati costi di  informazione e comunicazione sarebbe quello di istituire un regime a cambi fissi caratterizzato da una moneta dominante. Contrariamente a quanto asserisce l’economista austriaco Hayek secondo il quale la libera concorrenza del mercato valutario dovrebbe essere perfezionata attraverso la lenta rimozione del potere monopolistico dei singoli stati in materia di ingerenza ed emissione monetaria. Anche l’economista Vaubel è favorevole alla libera circolazione monetaria ed alla liberizzazione del mercato monetario. E, a tal proposito, propone un’acuta critica alla moneta unica europea definita come un sistema monetario collusivo di scarsa efficienza, incapace di raggiungere gli obiettivi comunitari di liberizzazione. Secondo Vaubel, pur non potendo istituire un sistema di libera competitività monetaria per motivi politici, si sarebbe potuto promuovere un regime basato sulla parallela convivenza fra singole monete nazionali ed una nuova moneta convertibile legata all’oro oppure ai Diritti Speciali di Prelievo (Fondo Monetario Internazionale), chiamato “parallel european currency”. Tale sistema, secondo Vaubel, assicurerebbe certamente  risultati maggiori, anche perché la nuova moneta proposta dall’economista non verrebbe creata dal nulla come i Diritti Speciali di Prelievo. Essa  porrebbe, inoltre, le basi  fattuali per una nuova moneta mondiale, pur conservando la sovranità monetaria nazionale. La politica, come sempre, serve solo a concentrare ricchezza e a sovvertire l'ordine economico mondiale.

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