‹‹ Ma io non mi lascio corrompere. Ho l'incarico di bastonare, dunque bastòno.›› Riflessioni da "Il processo" di Kafka

Pubblicato in Cultura

Locuzioni come "giusta causa" od "obiettore di coscienza" vengono ampiamente utilizzati dai difensori legali per spiegare e dare voce alle poche libertà che ancora hanno a che fare con la sfera individuale della persona e possono servire per difendere in sede processuale un imputato o ad un'accusa, nel caso che un diritto venga leso. In una rilettura de "Il processo" di Kafka si legge in un capitolo di Willem e Franz, due guardie che al momento del surreale arresto del protagonista abusano del loro potere, uno mangiando la colazione dell'arrestato, l'altro rubandone la biancheria, sostenendo sia prassi che ciò avvenga. Al momento del primo processo K. (l'arrestato protagonista) nel suo discorso davanti al giudice istruttore, tra l'assurdità del processo avviato nei suoi confronti, menziona anche l'accaduto (la colazione trangugiata da Willem e la biancheria rubata da Franz) nella mattina del suo arresto, muovendo una pubblica accusa di corruzione al sistema. I due dopo qualche settimana si presentano da K. (nel ripostiglio della banca dove lavora) per accusarlo della denuncia fatta in sede processuale e che quindi a causa di ciò, come prassi oltre ad essere degradati, saranno sottoposti a bastonatura. K. Nonostante non abbia molto di cui scusarsi afferma che se avesse conosciuto la sorte cui sarebbero stati sottoposti i due, non avrebbe mai fatto menzione dell'accaduto, offrendosi di corrompere il bastonatore (o di offrirsi egli stesso alle bastonate) in quanto per K. i veri colpevoli dell'accaduto non sono loro, bensì gli alti funzionari che hanno organizzato la cosa. Il bastonatore rifiuta asserendo : ‹‹ Ma io non mi lascio corrompere. Ho l'incarico di bastonare, dunque bastòno.›› La questione che qui si pone non è tanto la giusta pena quanto il gusto della pena. Se il bastonatore avesse svolto il suo lavoro con una componente seppur minima di obiezione di coscienza, con la consapevolezza che la violenza è male in ogni caso, e da ambo le parti, avrebbe probabilmente preso in considerazione la proposta di K., magari accettato i soldi, invece compie fino in fondo il suo dovere lasciando K. afflitto per non averlo potuto evitare. Il punto è: al bastonatore piace il suo lavoro, dunque non si lascia corrompere e sebbene la trasgressione evidente, come altrettanto evidente sarebbe stato il ritiro dell'accusa, la bastonatura avrebbe dovuto lasciare il passo ad una pena forse più lieve (una sculacciata ad esempio ndr.) Il bastonatore esegue il suo lavoro nonostante e a dispetto di tutto e tutti. In uno scenario meno surreale dove sembra essere avvolto il romanzo, si sarebbe aperto un iter processuale derivativo dall'arresto di K., per le due guardie, invece il bastonatore finisce per riunire nelle sue mani i tre poteri: interviene sulla legislazione, non ammettendo attenuanti (l'intercessione della parte lesa, ovvero K. Che potrebbe equivalere ad un ritiro della denuncia), decide ugualmente di bastonarli (esecutivo) e infine applica di fatto la decisione bastonando di santa ragione i due trasgressori (giudiziario). In questa fattispecie, sebbene derivativa di un iter processuale di più ampio respiro, si può parlare di giustizia o giusta causa? Nel frattempo un atto di dittatura si sta consumando, e il protagonista non riesce a riaprire la porta del ripostiglio ove la sonora bastonatura, sta ancora avendo luogo.

Seguici su Facebook