Venerdì, 03 Maggio 2024 06:34

Morire di vergogna: l’ultimo addio ad un’altra vittima del web

Pubblicato in Società

Si può morire di vergogna? Finché resta un semplice modo di dire, sì. Eppure, i più recenti casi di cronaca, dimostrano che sempre più la realtà supera la fantasia, che ogni cosa può diventare tragicamente reale, che si può morire per le cause più assurde e impensabili. Anche di vergogna. È quanto successo alla 31enne Tiziana Cantone, diventata famosa – suo malgrado- prima per la diffusione in rete di diversi video hard che la vedevano come protagonista e diventata, ora, ancora più nota per il suo tragico suicidio. Quello di Tiziana è stato un vero calvario: dopo i 6 video girati volontariamente dalla ragazza, ma illegalmente diffusi, sono cominciate le battaglie legali per la cancellazione dei video da diversi siti e portali. La vera battaglia, però, è quella che la ragazza ha dovuto combattere giorno dopo giorno contro l’infamia, la vergogna, le battute, le vignette ironiche e volgari sul proprio conto, la maldicenza della gente che le stava intorno e quella del popolo del web, insensibile e sciacallo, che ha scatenato un vero e proprio caso mediatico e virale intorno alla sua vicenda. Uno sfottò, un pettegolezzo di cui ridere e sparlare tra amici, al bar, davanti ad un pc: questa è stata all’epoca la vicenda per tutti coloro che hanno riso della diffusione virale dei video. Uno scherzo che è costato la vita a Tiziana, vittima di un bullismo silente ma non troppo, ironicamente spietato. Vittima di una giustizia lenta, ma di veloci giudizi; vittima di una società superficiale per cui tutto è un gioco, anche la vita, il rispetto e la dignità. Una dignità che Tiziana ha perso; una vita sconvolta, messa a nudo e ridicolizzata in ogni modo. Tutti sapevano ma nessuno ha compreso il dramma interiore che la ragazza stava vivendo. Dalle battaglie legali a quelle per cambiare nome e identità, per lasciarsi alle spalle l’ingenuità e la leggerezza che l’avevano portata a quell’errore dalle tragiche conseguenze. Non potendo fermare ingiurie e derisioni, ha deciso di porre freno all’unica cosa sulla quale aveva ancora un controllo: la sua vita Voci striscianti che nemmeno la tragedia della morte può fermare. Sono ancora tanti, infatti, gli insulti alla memoria di Tiziana, definita “puttana” prima e dopo la morte. Un’etichetta così pesante da restare attaccata anche al di là di una vita intera. Le vessazioni sui social continuano tutt’ora, tanto è vero che la procura di Napoli ha imposto la cancellazione di ogni file riguardante la ragazza. Accesi sono anche i dibattiti sul diritto all’oblio che chiamano in causa varie leggi o decreti legge (ad esempio il ddl 1415 e la legge 196/2003). Forti sono gli strascichi legali e giudiziari che una tale vicenda porta con sé: la condanna ai responsabili della diffusione dei video, la rimozione del materiale già presente, l’inibizione di ogni atto che possa portare a diffusioni future, le indagini e la pena per questa indiretta istigazione al suicidio. Ma ancora più forti sono le polemiche di carattere etico scatenate dall’estremo gesto della donna: ci si è domandati quale sia il ruolo del web, dei social, ma soprattutto ci si chiede cosa sia diventata questa società, pronta a distruggere chiunque a colpi di like e di tastiera. C’è chi considera Tiziana artefice del proprio destino e colpevole di un imperdonabile errore morale, di una leggerezza deplorevole e scandalosa; chi, invece, pur parlando di errore, non giustifica le successive offese gratuite, senza freno né rispetto. C’è chi attribuisce la colpa al web, una giungla in cui vige la legge di chi è più rapido a diffondere notizie, scandali e pettegolezzi, di chi non perdona. In cui tutto è pubblico, compresa la vergogna. Il dolore. In cui la legge viene applicata giudicando senza sconti, piuttosto che assolvendo e perdonando. Chi ritiene, invece, che il vero problema non siano i media ma il loro uso distorto, l’accanimento gratuito e codardo di chi si nasconde, si fa forte e si reputa perfetto al di là di uno schermo. Si parla di bullismo ogni giorno, di educazione al rispetto e della necessità di una prevenzione che dovrebbe cominciare sin dalla più tenera età. Eppure, Tiziana non è stata uccisa da giovani immaturi e sconsiderati. Tiziana è stata uccisa da una società adulta e consapevole. Da una società forte dietro una tastiera, ma non abbastanza da tutelare i suoi cittadini nella vita reale ed evitare che avvengano simili tragedie. Perché, forse, il bullismo non è solo un fatto anagrafico, ma mentale. Perché non è Internet che uccide, ma l’ignoranza.

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