Gli antichissimi acquedotti abruzzesi e la siccità in Molise

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Aveva ragione Federico ll di Svevia a coltivare premurosamente l’amicizia degli Arabi, arguto e lungimirante com’era. Sapeva che dalla dominazione araba c’era tanto da imparare, non solo per quanto concerne la falconeria dalla quale era notoriamente intrigato. L’eccellenza nella tecnica, nella matematica, nella fisica e nell’ingegneria fu una peculiarità che Arabi e Persiani seppero esportare accuratamente in Europa ed Asia, lungo la via della seta. Fra le abilità straordinarie di questi popoli primeggiavano senza dubbio quelle mirabili opere ingegneristiche rimaste pressoché intatte in circa duemila anni: le vie dell’acqua. Si chiamavano “qanat” ed erano complesse reti di canali sotterranei che, sfruttando l’abbondanza delle acque presenti sui rilievi e nelle falde, conducevano i flussi idrici in zone aride, campi e conurbazioni, anche per centinaia di chilometri, sfruttando la sola forza di gravità. Da sempre l’acqua è vita e dove ce n’è tanta c’è sviluppo economico e sociale. Bastava dunque un quanat, un canale inclinato progressivamente scavato con destrezza nel sottosuolo dai “maestri dell’acqua” largo poco meno di un metro e tanti cunicoli perpendicolari ricavati nelle rocce calcaree, ad irrorare abbondantemente dimore, territori, città e paesi come quelli d’Abruzzo e Sicilia. Palermo e due illustri paesi in provincia di Teramo, Atri e Bisenti custodiscono nelle viscere della terra sottostante agglomerati urbani, ambienti e residenze i rutilanti acquedotti di fattura mediorientale, alcuni dei quali ancora funzionanti ed impiegati tutt’oggi come ristorativi ripari dalla calura estiva. Sembra proprio che il suggestivo paese abruzzese di Bisenti sia stato edificato in una ridente valle verdeggiante solo dopo la realizzazione di un quanat che, stando alle testimonianze di alcuni studiosi, conserva ancora l’efficienza di un sistema idrico supplementare tutte le volte che quello principale smette di lavorare attivamente. Secondo alcune ricerche la meravigliosa ed ingegnosa struttura di canali sotterranei preposta all’erogazione dell’acqua sul territorio di Bisenti fu opera di maestri provenienti dal suolo di Palestina fugati dalle incursioni babilonesi. I maestri così esiliati, dopo aver seguito le rotte dei Fenici, si insediarono in terra abruzzese dando libero sfogo alle arti, all’estro e all’ingegno in loro possesso. E’ un vero peccato che di questi maestri, esperti di ingegneria e reti idriche avveniristiche si sia perso ogni tangibile traccia nell’era digitale scandita dai ritmi parossistici di internet, tecnologia estrema e globalizzazione. I maestri dell’acqua avrebbero certamente offerto la propria illustre consulenza al Comune di Monetenero di Bisaccia (Campobasso) per risolvere definitivamente l’annoso problema dell’intermittente siccità estiva che affligge l’ameno territorio di Marina di Montenero di Bisaccia, mortificando e umiliando popolazione e bagnanti costretti ad improbabili ed onerosi approvvigionamenti stentatamente stoccati nel sottosuolo. I Fenici solcavano i mari con imponenti imbarcazioni assemblate in pochi giorni con geniali strutture ad incastro costituite da legno di quercia. Gli Arabi progettavano rivoluzionari canali idrici in grado di condurre acqua abbondante e vitale in aree aride e distanti sino ad innovarne le sorti. La storia, dunque, insegna che lo sviluppo non è certamente figlio della modernità ma, piuttosto, dell’intelletto e del buonsenso di ardite menti del passato che non hanno mai avuto bisogno di crogiolarsi e bivaccare nei dorati accrocchi tecnologici delle odierne civiltà democratiche per costruire dei penosi alibi al libero arbitrio ed ergersi sui loro miserrimi successori. 

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