Intervista: la Satira secondo Massimiliano Martorelli

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“Castigat ridendo mores, correggere i costumi ridendo”

Già nel XVII secolo il letterato frencese Jean de Santeuil, salutando con questa frase un irriverente Arlecchino, che in Francia sbeffeggiava i costumi dell’epoca, determinava il concetto di satira.

Anche la recente definizione con cui la Corte di Cassazione ha voluto specificare giuridicamente lo stesso concetto, prende le mosse dal pensiero del letterato francese, sottolineando che il compito della satira è quello di “indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, uno scopo finale di carattere etico, correttivo verso il bene”. Tutti d’accordo, da Jean de Santeuil fino all’ultima sentenza della Corte di Cassazione su cosa la satira debba essere, ancora tutti divisi su come questa in realtà debba essere espressa.

A scontrarsi non è solo l’opinione pubblica, anche tra i vignettisti il sentire non è poi così comune. Utilizzando un veloce e snello “questionario” abbiamo chiesto a chi di mestiere fa anche il vignettista, in che maniera si pone di fronte alle polemiche accese che spesso esplodono dopo la pubblicazione di alcune vignette. Noi di MIT Modernizzare l’Italia ne abbiamo parlato con Massimiliano Martorelli, architetto, designer, cartoonist e saggista che espone le sue opere in Italia e all’estero sin dal 1994.

Tra i suoi numerosi lavori pubblicati per testi di settore e riviste satiriche web, lo ricordiamo anche come co-illustratore del testo dal titolo Passione del regista Leone d’oro di Venezia Leandro Castellani. Nel 2013, si è classificato terzo al premio nazionale di disegno umoristico Ricordi di viaggio tenutosi al MAF  di Ferrara. Dal 2007 al 2015 pubblica ininterrottamente la striscia satirica, con i suoi dissacranti alieni, dal titolo I Mama. È autore della striscia satirica Il corner di Martorelli per la rivista scientifica Medicioggi del gruppo editoriale multinazionale Springer. È’ il fondatore e Direttore Artistico del TerravecchiArt Folk Fest – Il Festival della cultura a 360°, che si è imposto in pochi anni come uno dei format culturali più prestigiosi. In occasione del Festival di Internazionale, tenutosi a Ferrara nel 2016,  la sua vignetta è stata selezionata per il concorso, sul tema dell’Unione europea, “Una vignetta per l’Europa”.

Che cos’è per te la satira?

Un prodotto sofisticato grazie al quale affrontare le mie inquietudini, le medesime paure che da sempre attanagliano l’umanità, quelle stesse che oltre ogni diaframma temporale ripropongono disagi e conflittualità. Sono da sempre attratto da una produzione satirica che ad un sorriso colorito anteponga una smorfia consapevole innescata da un concetto profondo. Per accompagnare un mio cartoon, pubblicato in un prestigioso catalogo di qualche anno fa, scrivevo: “La satira come argine capace di ridurre ai minimi termini ciò che sibillino e con maestria cerca di svuotarci costantemente”.

La satira ha dei limiti?

No, irreggimentarla equivarrebbe ad imporre la disidratazione ad un qualsivoglia organismo vivente.

Ci sono argomenti tabù della satira?

La satira non è succube, non accetta minacce, è coraggiosa, ma soprattutto affronta le paure più recondite dell’uomo a testa alta. È la stessa paura che genera i preconcetti che la satira, per sua natura, deve scardinare, promuovendo intime riflessioni e azioni autentiche.

Il buon gusto è un criterio per giudicare la satira?

Francamente penso che il buon gusto sia utilissimo nel combinare più capi di abbigliamento, ma impossibile da applicare alla satira. Eleganza e gusto che ammantano il pregiudizio sono una delle cose più volgari a cui si possa assistere. Non è sufficiente indossare una bella cravatta per considerarsi un giusto.

Che rapporto c’è tra satira e immoralità?

Lo stesso rapporto che interviene per ogni pratica umana, prendendo ad esempio il concetto della“rottamazione”, tanto in voga negli ultimi tempi, se trattato in chiave ironica e profonda per innescare un processo di riflessione e di cambiamento nel sistema a regime, sarebbe un approccio eticamente ineccepibile, ma, se dovessimo adoperarlo in maniera strumentale per anteporre il concetto malsano del “giovane” anteposto al “vecchio”, considerando quest’ultimo inadeguato per una mera questione anagrafica, questa modalità sarebbe un’ignominia. Costituirebbe, altresì, un atteggiamento immorale e spaventoso in quanto incapace di comprendere che idee e sistemi valoriali, prescindono dalla carta d’identità.

La satira agisce sulla storia?

Influenza la storia come ogni pratica umana. La dimensione dell’influenza è correlata ad un insieme di fattori che vanno dal contesto culturale al territorio di esercizio della pratica stessa. Un’icona o un aforisma che si manifestano, in un determinato istante denso di pathos può realmente insinuare un pensiero, capace di far emergere un sentimento rivelatore.

Perché si diventa autori satirici?

Per non prendersi troppo sul serio mentre si affrontano le proprie inquietudini nella perenne guerra all’ipocrisia.

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