La malattia da virus Marbug

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La malattia da virus Marburg (precedentemente nota come febbre emorragica di Marburg) è stata identificata nel 1967 durante le epidemie a Marburg e Francoforte, in Germania, ed a Belgrado, nella ex Jugoslavia, a seguito dell'importazione di scimmie infette provenienti dall'Uganda. Può colpire sia persone che scimmie ed è, pertanto, una zoonosi. Il serbatoio del virus di Marburg è il pipistrello della frutta africano, Rousettus aegyptiacus, che vive nelle caverne ed è molto diffuso in Africa. La sintomatologia si manifesta in maniera improvvisa e rapida con forte mal di testa, dolori muscolari ed un acuto stato di malessere. Il primo giorno la temperatura sale bruscamente ed il malato va incontro a rapida debilitazione. Verso il terzo giorno si riscontrano dolori addominali e crampi, diarrea acquosa, persistente anche per una settimana, nausea e vomito. In molti casi, tra il quinto ed il settimo giorno, il malato presenta emorragie in diverse parti del corpo, spesso causanti la morte. Nel periodo di elevata temperatura corporea, il virus attacca anche gli organi interni ed il sistema nervoso causando stati di confusione, irritabilità, aggressività, perdita di peso, delirio, shock ed insufficienza epatica. Se fatale, la morte sopraggiunge nell'arco di 8-9 giorni. Il virus non si trasmette durante il periodo di incubazione, che dura dai 3 ai 9 giorni. Il momento in cui il paziente risulta maggiormente contagioso è, invece, quello della fase acuta della malattia, soprattutto durante le manifestazioni emorragiche. Il contagio è favorito da condizioni sanitarie precarie, come, di frequente, nei Paesi a basso reddito, e dove risulti semplice il contatto diretto con malati, superfici e materiali infetti. Ecco perché un'adeguata sepoltura dei cadaveri, per ridurre al minimo la circolazione del virus, e la rigorosa applicazione di misure igieniche che evitino il contatto con strumenti, vestiario e tutto ciò che può essere a contatto diretto col malato, sono le uniche pratiche che possano consentire di arginare l'epidemia. In pazienti di ritorno da viaggi in Paesi africani sicuri, nei casi sospetti, dovrebbero essere considerati i seguenti criteri clinici: febbre alta(oltre i 38° per meno di tre settimane), dolori muscolari ed, almeno, due sintomi emorragici (eruzione, emorragia nasale, vomito del sangue, tosse del sangue, o sangue nelle feci).Tuttavia, la diagnosi è altrettanto difficile in quanto alcuni segni e sintomi imitano quelli di altre patologie più frequenti, quali febbre tifoide o malaria; sono, quindi, impiegati metodi microbiologici (quali ELISA di antigene-bloccaggio, ELISA di IgM-bloccaggio e reazione a catena della polimerasi) per confermare un eventuale caso di febbre emorragica di Marburgo .Attualmente non sussistono opzioni disponibili per la profilassi o la terapia. Il Trattamento è, quindi, complementare e comprende la somministrazione di ossigeno, saldando i liquidi e gli elettroliti del paziente, volume circolatorio di mantenimento e pressione sanguigna e trattando con cura ogni complicazione. È difficile mettere in atto una prevenzione efficace non conoscendo sufficientemente l'origine dell'infezione. Acausa del tipo di trasmissione (secrezioni di soggetti malati o contatto con oggetti contaminati) si rende necessario l'uso precauzionale di mezzi di protezione individuale quali mascherine, camici, guanti (ed un'adeguata sterilizzazione delle attrezzature), l'isolamento degli ammalati ed il trattamento delle deiezioni e dei rifiuti. Le febbri emorragiche virali sono malattie comprese nella prima classe del Sistema Informativo delle malattie infettive e diffusive D.M.15 dicembre 1990 e richiedono specifici interventi istituzionali.

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